Privacy Policy Termini e Condizioni APICIO LEGIONARIO - Aqvilifer

APICIO LEGIONARIO

ATTENZIONE: Leggere è Conoscenza!

Il Retaggio di Apicio

I commensali di Apicio potevano percepire con facilità la differenza tra la sua arte culinaria e la tradizione alimentare del vecchio mondo latino, e questo facilitava molto l’attribuzione di significati in qualche modo più intellettuali al piacere che poteva derivare dall’assunzione del cibo. Apicio seguiva fedelmente un criterio per cui i suoi piatti non dovevano mai rappresentare un’assurdità anche se potevano però essere esotici o strani. La sua gastronomia non aveva i caratteri della convenienza economica; raffinatezza e rarità erano in ogni caso legate inscindibilmente alla ricerca di nuovi gusti e di nuovi piaceri. In accordo con ciò i piatti a base di carne e di pesce predominavano rispetto a prepatazioni meno costose, anche se le proporzioni esistenti tra il numero delle sue ricette delicate ai vari alimenti sembrano riflettere la cultura della Roma di allora.

Se da una parte tra cibi carnei e volateli, il cui prezzo era già decisamente superiore a quello attuale, apparivano i rarissimi pappagalli o i fenicotteri, risaltava però il gran numero di preparazioni riservate al maiale, che della carne era il fornitore più tipico e diffuso.

I bovini e gli ovini, anziché essere destinati alla macellazione, dovevano fornire latte e prodotti relativi, oppure lana o ancora, come nel caso dei buoi, energia per i trasporti. Funzioni queste, tutte preziosissime, che facevano sì che ne fosse evitato il sacrificio per puri fini alimentari.

La gastronomia nell’Impero di Roma

Apicio: De Re Coquinaria

Apicio, conformemente agli usi della sua epoca, aveva scelto nel redigere il suo ricettario un limitato numero di ricette delle quali fosse previsto l’impiego di carne bovina.

Se era riconoscibile la base comune che legava il buongustaio alla Roma dei suoi tempi, era vero anche che nelle sue ricerche gastronomiche egli si sbizzarriva con la selvaggina, cibo piuttosto raro, e con un gran numero di pesci pregiati.

Roberto Trizio: Il cibo nell’antica Roma

Apicio e la nobile cucina imperiale

La cucina apiciana, pur essendo una cucina fatta non di follie ma di effettive possibilità, era quindi una cucina concretizzabile solo a livelli sociali elevati. Del resto l’abbondantissima scelta di spezie spesso esotiche, che sono lo strumento tipico delle fastose ricette di Apicio, è un elemento che indubbiamente rendeva i suoi piatti un piacere riservato quasi solo a ricchi o ricchissimi personaggi.

Per chiunque tra i suoi contemporanei era impossibile definire le opere gastronomiche apiciane come un esempio della cucina romana dell’epoca. Anzi, era proprio la distanza tra queste e la sobrietà della cucina latina a destare da un lato interesse e curiosità e, dall’altro, a giustificare il disprezzo e la condanna. Non solo i presupposti culturali e filosofici ne determinavano un marcatissimo eclettismo, disposto ad accogliere il piacere da qualsiasi parte provenisse, ma anche le materie stesse e i loro costi economici dicevano quanto poco apicio aveva a che fare con le tradizioni italiche.

De Re Coquinaria

Gli agganci delle ricette apiciane andavano ricercati nel più vasto mondo della cultura ellenistica e nelle sue ricche suggestioni orientali anziché nella cucina comunemente in uso presso il popolo di Roma.

Lontanissimi da Apicio erano i gusti antichi e gli odori di quelle semplici taverne contro le quali, sotto l’influenza di Seneca, si sarebbe scagliato Nerone che, oltre a frenare il lusso e ridurre i pubblici banchetti a distribuzioni di vivande, avrebbe deciso di proibire “la vendita di cibi cotti nelle taverne, eccettuati ortaggi e legumi, quando prima venivano invece serviti cibi di ogni genere”. Ma ciò che si preparava nelle osterie era al più qualche gustosa braciola di maiale e del pesce, il che con il lusso c’entrava ben poco.

Il divieto aveva in tal caso solo una funzione preventiva contro gli incendi; le vivande infatti venivano cotte su braci disposte in focolari aperti, e l’imperatore, per altri motivi noto piromane, avrebbe inteso evitare il pericolo di diffusione delle fiamme permettendo solo cibi la cui cottura poteva avvenire su focolari chiusi. Le trattorie offrivano quindi una cucina semplice nella cottura e aromatizzata al più con qualche saporita ma economica erba nostrana.


Vettovagliamento delle aqvile romane in britannia

Il nostro viaggio continua in Britannia,

visitando il Vallo di Andriano ed entrando nel forte di Vindolanda.

Memoria dei legionari che hanno servito Roma nella frontiera a Vindolanda

L’ESERCITO ROMANO HA BISOGNO DI TE!

Giuro di servire e obbedire la VI VICTRIX.

giuro di eseguire i suoi ordini

  • seguirla ovunque essa mi conduca
  • di non abbandonare mai le insegne
  • non darmi alla fuga
  • di non uscire dalle mie file se non per afferrare un arma e attaccare il nemico o aiutare un compagno.

Prometto inoltre di essere fedele alla Patria, al Senato e al Popolo romano.

Roberto Trizio: Giuramento del Legionario

Castrum vindolanda

Ogni anno, gli archeologi e volontari, scavano per trovare reperti storici, studiarli e conservarli nel museo di vindolanda. Una di queste scoperte delle tavolette in legno dove al loro interno, custodivano testi scritti in inchiostro. La loro decifrazione ha consentito di comprendere con una precisa autenticità attraverso un attento esame, sulla vita militare dei legionari stanziani nel forte di Vindolanda. Molti documenti, provengono dall’archivio della famiglia del prefetto, comandante del castrum. Nelle tavolette si enumerano acquisti di frumento (Triticum aestivium), orzo, farro (Triticum spelta), garum, vino, birra e poi aceto, olio di oliva, lardo, prosciutto, uova, pollo, pepe e spezie per condire gli alimenti.

Panis Quadratus

Il primo alimento base per il legionaro è il grano, che veniva lavorato per creare il pane.

Cucinare nell’Antica Roma

Legio X Fretensis

Frumentario del Legionario

La razione del cereale veniva consegnato al soldato giornalmente.

Un particolare oggetto chiamato modius,

veniva usato per misurare il grano e avrebbe potuto contenere

una razione settimanale di grano per un soldato.

Nelle tavolette trovate nel sito archeologico di Vindolanda, troviamo scritto un elenco di misurazioni utilizzando il modius, per ordinare alimenti pagando con denaro o consegnare al forte romano di Vindolanda. In un resoconto del grano, Tab. Vindol. III 586 , sono elencati modii di grano tenero (siliginis) e pappa (halicae); e in un conto di derrate alimentari e tessili – sono citati modii 55 di fagioli e modii di miele (Tab.Vindol II 192).

In una delle lettere di Vindolanda a Cassius Saecularis, lo scrittore fa riferimento all’acquisto di orzo (hordeum commercium), forse implicando rapporti commerciali con i nativi britannici. Esistono anche registrazioni di consegne di carri carichi di orzo.

Bowman Alan K. (1994, 2003) Vita e lettere sulla frontiera romana: Vindolanda e la sua gente
(The British Museum Press).

Pane, zuppe e minestre di farro

Il farro divenne la coltura di sussistenza principale nella provincia romana della Britannia.

Il farro era un alimento molto resistente, con una buona coltivazione nei territori britannici perché tollera le estati umide e fredde. Per quanto motiva, la semina veniva praticata sia in inverno che in privamera, aumentando così la resa. Questo cereale, veniva cucinato per realizzare zuppe e minestre di buona qualità ed era ampiamente utilizzato dall’esercito romano. Un’altra ricetta molto importante che ogni legionario preparava all’interno del castrum, era il pane ma veniva sostituito il grano con il farro. Questo cereale, è ricco di proteine che formano il glutine per fare un pane simile alla pitta.

I legionari, utilizzavano il grano per fare un pane più leggere e tenero, siligo, frumento di prima qualità citato nella tavoletta 586 ed ha un contenuto proteico inferiore, ottimo per la preparazione di pasticceria e torte. Nel castrum di Vindolanda, i soldati e gli abitanti, cercavano il migliore frumento in commercio per mantenere alto il morale gastronomico perché a stomaco pieno ed ottenendo energie prodotti da una corretta alimentazione, il legionario poteva marciare e combattere con più entusiasmo.

Apicio: la Dieta Mediterranea del legionario

Un legionario di 30 anni era alto 1,70 M. e pesava 60-66 Kg.

Secondo gli studi dell’ex ufficiale della Guardia Nazionale Jonathan Roth, ha scoperto che un combattente romano aveva bisogno di circa 3 mila calorie al giorno di cui almeno, doveva immagazzinare 60 grammi di proteine fondamentali per la forza fisica e per la resistenza. Il grano era l’alimento molto importante nella dieta delle aquile legionarie e poi nel loro ricettario troviamo un consumo di cereali, carne di maiale e cinghiale selvatico, formaggi, frutta e verdura per le vitamine. La classica Dieta Mediterranea!

Osservando la colonna Traiana del II secolo d.C.,

vediamo alcuni legionari romani impegnati nella mietitura del grano.

Armati di una piccola falce, facevano la frumentario, cioè raccoglievano i cereali direttamente sul luogo dove sorgeva a poca distanza l’accampamento o il castrum fortificato. La coltivazione e lavorazione della terra, permetteva ai soldati di ottenere rifornimenti di cibo senza praticare saccheggi e ruberie nel territorio scelto per campagne belliche, trasformate in province romane.

Retaggio del Legionario

Ogni singolo legionario, riceveva al giorno circa 850 G. di frumento e con l’utilizzo di strumenti da cucina, creava il pane. Nel castrum avevano anche degli animali per la macellazione, ottenendo carne fresca. Il vettovagliamento dell’esercito, non arrivava con la zuppa pronta ma il soldato riceveva le materie prime per cucinarle. Ad esempio una pecora che ha un peso medio di circa 30 Kg., una volta macellata generava circa dai 15 ai 17 chili di carne che bastavano per una trentina di razioni. Macellando un maiale che pesa dai 70 ai 90 Kg., si ottenevano circa 50 Kg. di carne che bastavano a nutrire circa 120 legionari. Un intero bue di 350 Kg. di peso, veniva macellato e lavorato per fornire 170 chili di carne ai 390 soldati romani.

Altri alimenti nutrizionali utilizzati dai legionari, sono i fagioli, lenticchie e piselli, erbe di campagna e aglio un antibiotico naturale. formaggi fatti con il latte di pecora, capra e mucca. L’olio di oliva veniva usato per cucinare e condire il cibo. I legionari amavano bere il vino creando un sapore dolce unendo del miele. Il sale veniva usato per consevare gli alimenti.

L’orzo è un cereale coltivato e utilizzato dai legionari e nella cucina creativa di Apicio.

Apicio: panis hordaceus
Pane di Farina d’Orzo: PANIS HORDACEUS

Cucinare nell’Antica Roma

Legio X Fretensis

Lettere commerciali di vindolanda

L’imminente arrivo di un carico di grano su carri britannici, i cui conducenti avrebbero richiesto il pagamento alla consegna, è contenuto nella tavoletta Vindolanda (649) e risale al 93-102 dC. 

Birley Robin (2009) Vindolanda: A Roman Frontier Fort sul Vallo di Adriano (Amberley Publishing)

L’orzo e il farro sono i cereali più comunemente registrati per quasi tutti i siti militari romani nel nord dell’Inghilterra. Il grano tenero si trova più raramente. 

Birley Robin, Blake Justin, Birley Andrew (2002) Gli scavi del 1997 nel sito del pretorio di Vindolanda (pubblicazioni dell’esercito romano).

In una delle lettere di Vindolanda a Cassius Saecularis, lo scrittore fa riferimento all’acquisto di orzo (hordeum commercium), forse implicando rapporti commerciali con i nativi britannici. Esistono anche registrazioni di consegne di carri carichi di orzo.

Bowman Alan K. (1994, 2003) Vita e lettere sulla frontiera romana: Vindolanda e la sua gente (The British Museum Press)

Caro, caseus et holus

Ricetta del cuoco Apicio per le legioni romane: Buccellatum, lardo e posca

Flavio Ceriale, comandante della IX coorte di Batavi, deve aver cacciato cervi qui a Vindolanda; un resoconto dettagliato (Tab. 191) del cibo e delle bevande consumati dalla sua famiglia include caprioli (capreum) e cervo (cervinam). Ciò è confermato dalle ossa trovate a Vindolanda, che indicano una proporzione di cervi molto maggiore rispetto ad altri siti romani. Un’altra tavoletta per scrivere elenca gli attrezzi da caccia, classificati come ‘reti’ (retes), ‘che abbiamo lasciato indietro’. Una rete era per la cattura dei tordi (retum turdarem), una per le anatre (anatarem), inoltre tre lacci per la cattura dei cigni (laquii cicnares). Una rete da pesca (evericlum piscatorium) è anche elencato. 

La pesca nel Chineley Burn sotto il forte, nel fiume South Tyne e nei laghi a nord di Vindolanda: Grindon, Crag Lough, Greenlee e Broomlee, probabilmente producevano salmone, trota e luccio. Una lettera (Tab. 271), probabilmente a Flavio Ceriale, sembra ringraziarlo per aver inviato qualcosa, e cita, apuas , una parola che significa ‘piccolo pesce’. L’idea di mangiare tordi o cesena può essere ripugnante per noi ora, ma i romani li mangiavano con gusto.

Birley, Anthony (2007) Garrison Life at Vindolanda: A Band of Brothers (Tempus Publishing)
Apicio: salcicce del legionario
THERMOPOLIA: Salcicce di Apicio

Cucinare nell’Antica Roma

Legio X Fretensis

Apicio, il gastronomo in guerra

Lardo e Formaggio del Legionario

Maiale, pancetta e grasso erano usati come parte della dieta militare. Nella tavoletta Vindolanda 182 , il centurione Felicio doveva “otto denari e due asini per 45 libbre di pancetta e 15 libbre di strutto”. Potrebbe aver acquistato questa grande quantità per conto del suo secolo. Un altro resoconto (Tab. 193) lo mostra mentre acquista a credito (mutuo) spezie, pappa e 160 uova – forse due a testa per gli 80 uomini sotto di lui. Il birraio Atrectus è indebitato per il grasso di maiale.

Birley, Anthony (2007) Garrison Life at Vindolanda: A Band of Brothers (Tempus Publishing)

Il formaggio, facile da trasportare durante le marce per raggiungere obiettivi bellici, diventava un alimento ricco di proteine, calcio e fosforo per il soldato, unendo un pezzo di pane con della pancetta e bevendo vino. Il legionario, raccoglieva o comprava nei negozi del vicus o dai commercianti, frutta fresca e secca per le vitamine, legumi, verdure e ogni alimento nutritivo per completare la Dieta Medieterranea. Immaginate di passeggiare nella via principale o chiamata strada maestra del villaggio britannico, potete incontrare dei venditori di frittelle, dolciumi e salsicce.

Saggio sulla storia del formaggio nell’antichità

Tradizione e reparazione dei formaggi greci e romani

Apicio: la ricchezza Italica nell’Arte culinaria

I legionari romani in Britannia, praticavano la coltivazione di verdura e ortaggi.

  • Cavoli,
  • Rape,
  • Cipolla,
  • Porro,
  • Carota,
  • Cetriolo,
  • Pastinaca,
  • Ravanello,
  • Barbabietola,
  • Invidia,
  • Lattuga,
  • Fava,
  • Aglio.

Herbae Rusticae et Aromatibus Legionarius

Le erbe aromatiche erano coltivate dai romani per utilizzarle nelle ricette gastronomiche per inebriare il gusto della carne, zuppe o altri alimenti cucinati. Da Ippocrate ai chirurghi dell’esercito romano, conoscevano le proprietà curative e benefiche delle erbe mediche.

Molte erbe originarie del mediterraneo furono portate in Britannia durante le campagne belliche, costruendo un legame commerciale con le province romane collegate per via mare e via terra in tutto l’Impero Romano. Le navi attraccate nel porto di Londinium, avevano diversi compiti e obiettivi nella marina imperiale: difesa e attacco con la Bireme, la Triremi, la Quadriremi, la Quinquiremi, la Esareme, la Deceris, l’Actuaria, la Liburna, la Caudicaria.

C’erano poi le navi ausiliarie: adibite alla logistica (onerarie), al trasporto celere di truppe (attuarie) e di cavalli (ippagoghe), ai collegamenti (celoci), alle esplorazioni (speculatorie).

Navi mercantili romane

Le navi mercantili trasportavano merci per la ricchezza commerciale dell’Impero Romano.

Ogni nave aveva la sua specialità di imbarcare prodotti destinati ai commercianti per poterli esporre nei negozi, dove attendevano con pazienza, l’arrivo dei clienti. Quando una nave trasportava vino italico come ad esempio il Falerno, veniva chiamata in latino: naves vinariae. Gli schiavi avevano l’ordine di scaricare anfore piene di olio di oliva dalla naves oleariae. Il grano, veniva caricato nelle stive prima che la naves granariae solcasse le acque per giungere nei porti, dove verrà consegnato ai mercanti per la vendita.

Altre navi romane, trasportavano erbe originarie del mediterraneo e furono portate nei territori della Britannia. Ad ogni ordine, veniva consegnata una lista della spesa dove veniva scritto il prodotto e la quantità ma trattando di erbe e spezie, elencherò piante aromatiche, che venivano usate dai legionari nella preparazione di ricette all’interno del castrum durante il rancio.

Apicio: Erbe speziate nella cucina “Para Bellum”

Erbe speziate di Apicio
  • Aneto,
  • Finocchio,
  • Maggiorana,
  • Salvia,
  • Rosmarino,
  • Ruta,
  • timo,
  • Menta Verde,
  • Erba Cipollina Selvatica.

Erbe speziate della cucina mediterranea

I nativi britannici raccoglievano probabilmente

le foglie di piante selvatiche come la malva, il platano, l’erba moli,

il convolvolo nero, il dente di leone e il spinacio selvatico chiamato: buon re Enrico. 

Successivamente questi sarebbero stati coltivati ​​dai Romani. Gli antichi britannici avevano coltivato alcune colture come il fagiolo celtico, una versione più piccola della fava; la veccia per il consumo sia animale che umano; il farinello comune chiamato in inglese: Fat Hen. 

I suoi semi nutrienti macinati possono essere usati per fare il pane e la zuppa.

Fructus

I romani importarono nuovi frutti in Britannia, tra cui la prugna domestica e il susino selvatico.

Plinio il Vecchio osserva che il generale romano Lucio Licinio Lucullo

portò i ciliegi dal Ponto, a sud del Mar Nero, intorno al 65 a.C., e che nel I secolo d.C. furono piantati fino ai territori delle province britanniche. I frutti originari della Gran Bretagna includono

lamponi, mirtilli, more,

bacche di sambuco, fragole di bosco e mele di granchio.

Apicio: i segreti dei nobili piaceri

Oleum, Vinum et Garum

Oliva e olio d’oliva nell’antichità

Olive Oil times

Commercianti Antichi di Olio di Oliva

Plinio il Vecchio dedica i primi sei capitoli del libro 15 della Storia Naturale alle olive. Scrive: “Teofrasto, uno dei più famosi autori greci, che scrisse intorno al 440 d.C. dalla fondazione di Roma, negò il fatto che l’olivo non crescesse oltre i 40 pasces (circa 60 metri) dal mare e Fenestella sostenne che l’olivo non esisteva in Italia, Spagna e Africa fino al regno di Tarquinio Prisco, cioè fino al 173 d.C. dalla fondazione di Roma. Ora l’olivo cresce già oltre le Alpi, in Gallia e in Spagna”. (Storia naturale, XV, 1).

Secondo Virgilio, ci sono tre tipi di olive:

“orchades et radii et amara pausia (rotonde, lunghe e amare).

Catone il Vecchio distingueva le seguenti varietà di olive:

radiolus, sallentine, orchada, pausia, sergian, cominian, albicera.

La produzione dell’olio d’oliva nell’antica Roma

Plinio scrive che ci sono tre varietà di olio d’oliva. La prima varietà è la più gustosa, derivata da olive acerbe. Più la bacca è matura, più l’olio è denso e meno gustoso. Quindi il terzo tipo è l’olio delle olive mature. Il momento ottimale per la raccolta delle olive, per combinare l’abbondanza e il gusto, è quando le olive cominciano appena ad annerire. Questa sarà la seconda varietà.

Thermopolia. Sapori e colori dell’Antichità.

Vinum de Marcus Gavius Apicius

Cucinare nell’Antica Grecia

RICETTA CRETESE: Sciroppo di Mosto d’Uva

MISURE ROMANE di Apicio

Quantità 1 sestario = 0,269 l.
Q. 1 oncia = 27 g.
Q. 1 dracma = 3,37 g.

4 inebrianti vini del cuoco imperiale apicio

I. VINO SPEZIATO SPECIALE

Composizione del vino aromatizzato speciale: si versano quindici libbre di miele in un recipiente di bronzo, dove si siano messi in precedenza due sestari di vino, in modo tale che il vino si riduca durante la cottura del miele. Lo si scalda a fuoco lento e di legna secca, rimuovendo con una spatola durante la cottura, se cominciasse il bollore arrestarlo spruzzando del vino, altrimenti il liquido posa togliendolo dal fuoco.

Quando si sia raffreddato lo si rimetta al fuoco. Si ripeta la manovra due o tre volte; e poi finalmente lo si ritiri dal fuoco e il giorno seguente lo si schiumi. Allora si aggiungano quattro once di pepe precedentemente tritato, tre scrupoli di mastice, una dracma di foglie di malabatro e una di zafferano, cinque noccioli di dattero torrefatti, e gli stessi datteri rammoliti nel vino, versando prima del vino di quantità e qualità adatte a rendere dolce il trito. Preparato che sia tutto ciò vi si versano sopra diciotto sestari di vin dolce. Si tratterà quanto ottenuto con il carbone.

ADNOTATIONES di Apicio

I cuochi romani usavano la parola latina folium per riferirsi a un particolare tipo di foglia aromatica, ma probabilmente non all’alloro, che era chiamato folium lauri. Alcuni studiosi hanno identificato le foglie con il malabatrum (forse una foglia di cannella) o il nardus, ma questo rimane solo un’ipotesi.

Veniva utilizzata la legna secca, per la cottura del miele versato nel vino, perché brucia più intensamente e quindi con calore più vivo, ciò riduce la formazione di fumo che potrebbe dare cattivo sapore al vino.

In particolare si usavano

i carboni ardenti che venivano immessi nel vino,

ma anche in altri liquidi,

per decantarlo e toglierne l’eventuale sapore amaro.

II. VINO MIELATO E SPEZIATO PER I VIAGGIATORI

Vino mielato e speziato di lunga conservazione che si dà ai viandanti: mettete del pepe tritato con del miele schiumato in un bariletto come si usa col vino speziato e quando sarà il momento prendere il miele o aggiungete vino in base a quanto vorrete bere. Ma se disporrete di un vaso mettete un pò di vino nel sugo mielato, aggiungendolo di faciliterà la soluzione del miele.

III. ASSENZIO ROMANO

Così farai l’assenzio romano: secondo la ricetta del vino speziato di CAmerino, e nel caso manchi del tutto l’assenzio; al posto di questo si usi un’oncia di assenzio del Ponto pulito e che dovrà essere stato tritato, un dattero di Tebe, tre scrupoli di mastice e di malabatro, sei di costo, tre di zafferano, e diciotto sestari di vino della stessa qualità. L’amarezza del preparato rende inutile il carbone.

IV. VINO ALLE ROSE E VINO ALLE VIOLE

Così farai il vino alle rose: metti in una tela di lino, cucendoveli, dei petali di rosa ai quali avrai tolto il bianco e mettine quanti più possibile nel vino lasciandoveli in infusione per sette giorni.

Dopo sette giorni togli le rose dal vino e sostituiscile con altre fresche, pure cucite, sicché riposino nel vino per altri sette giorni, poi toglile. Farai così una terza volta, poi togli le rose e filtra il vino, e quando vorrai servitene per bere, aggiungendo del miele, si otterrà il vino alle rose.

Abbi cura che le rose siano bellissime e asciutte dalla rugiada.

Come sopra con le viole farai il vino violato; mescolerai il miele allo stesso modo.

Fai così il vino alle rose senza rose: in un dolio di mosto, prima che fermenti, metti delle foglie verdi di cedro poste in un cestello, e dopo quaranta giorni toglile.

Quando ne avrai bisogno, aggiungi del miele e usa al posto del vino alle rose.

DE RE COQUINARIA

ricettario gastronomico del cuoco Marcus Gavius Apicius

Garum de Apicius

Apicio usava il termine “liquamen” per riferirsi alla salsa di pesce nella maggior parte delle ricette.

In effetti, la parola “garum” si sente solo quando si parla di certi condimenti: “oxygarum” e “onogarum”. Allo stesso tempo, la letteratura gastronomica e i documenti amministrativi

(tra cui l’editto sul listino prezzi dell’imperatore Diocleziano del 301 d.C.)

menzionano sia il garum che il liquamen insieme, creando confusione e confusione.

Una spiegazione plausibile per l’uso dei diversi termini è che durante il primo periodo imperiale

il garum fu identificato con qualche nuovo prodotto.

Garon e garum: antica salsa di pesce

Sia i greci che i romani preparavano una salsa da piccoli pesci interi o da pezzi di pesce pelati facendoli fermentare nel sale, il che produceva il succo ambrato del liquamen, che veniva usato principalmente in cucina come ingrediente per varie salse. Presso i greci tale succo di pesce era chiamato garon (γάρον), e presso i romani, alla maniera latina, “garum”.

A un certo punto i romani cominciarono a preparare il loro nuovo tipo di salsa di pesce, legato al garum, e un po’ diverso dal garon originale. Questa salsa fermentata, fatta con le budella fresche e il sangue di certi tipi di pesce, era più scura, più forte e molto più piccante del garon greco.

Veniva servito all’élite da solo o come componente di salse complesse e combinate.

La confusione è nata perché i patrizi colti che scrivevano i testi raramente visitavano la cucina e vedevano solo i piatti finiti (comprese le salse) e non il processo di cottura stesso. E tra l’élite, qualsiasi salsa a base di pesce era chiamata garum. Ma gli chef dovevano essere in grado di distinguere tra un condimento più delicato fatto nella tradizione greca (come il garon) e uno nuovo, soprattutto perché il garon mite continuava ad essere usato nella cucina romana. Al tempo del Tardo Impero, quando apparve Apicio, i cuochi e i buongustai si riferivano alla tradizionale salsa di cottura come liquamen.

Impero Romano e America

una sfida culinaria a singolar tenzone

Questo può essere paragonato alla differenza tra

il ketchup (come il garum) e il concentrato di pomodoro (come il liquamen).

Il ketchup si condisce direttamente a tavola, a piacere, ed è relativamente raramente un ingrediente di una ricetta. La pasta di pomodoro, invece, è sempre solo un ingrediente, non viene servita a tavola.

Sia il garum che il liquamen erano disponibili in tutto l’impero romano. C’erano leggere differenze nei metodi di produzione regionali e regioni particolarmente famose per la qualità della salsa. Un’anfora di una “fabbrica di salsa” a Pompei portava il nome del proprietario e questo timbro: “best strained liquamen”.

POST SCRIPTUM DI APICIO

per chi ha sete di dettagli, consiglio di cercare questi libri:

I. “I cibi di Roma imperiale. Vita, filosofia e ricette del gastronomo Apicio” di Gianni Gentilini

II. “Garum Pissalat De La Peche A La Table Memoires D Une Tradition” di Nathalie Radeuil.
o ascoltare una meravigliosa storia sull’argomento di Sally Grainger

Thermopolia. Sapori e colori dell’Antichità

Legatum Magna Coques Apicius

Libri di cucina Italica dal 1300 al 1400

ARTE CULINARIA MEDIEVALE

ATTENZIONE: Leggere è Conoscenza!

ATTENZIONE! Regole da rispettare per far nascere un confronto di amanti della Storia con l’obiettivo di sperimentare l’arma della valorizzazione Territoriale per la difesa del Retaggio Culturale e il Mos Maiorum.

Reenactor Luca Caponi